Daniele Parente racconta il primato di Trapani: la squadra, le ambizioni, la panchina più ambita e difficile della A2

Daniele Parente, da settembre la sua Trapani Shark non toglie le mani dal manubrio. Dalla vittoria in Supercoppa al primato in solitaria al termine del girone di andata. Record 10-1.
“Dobbiamo essere onesti. All’inizio siamo stati facilitati dal giocare in otto, ci mancavano Mollura ed il secondo straniero. Poi siamo diventati bravi, quando abbiamo proseguito con le vittorie anche se il basket mostrato non è sempre stato quello di settembre-ottobre. Che va preso con le pinze. Le vittorie aiutano: nel nostro caso ad inserire le due pedine mancanti, con l’arrivo di Horton, ed allungare la rotazione a dieci trovando la massima disponibilità di tutti”.
Che valore dà al primato?
“Ad oggi è solo la somma del non guardare mai troppo avanti. Ma dell’inseguire piccoli obiettivi settimanali”.
Lei è a Trapani dal 2014, da capoallenatore dal 2017. In una estate abbastanza folle è passato dall’obbligo della salvezza, per poi fare il meglio possibile, all’obiettivo promozione. Un salto culturale, non solo tecnico.
“Il cambio di obiettivo ti porta a fare cose diverse. E considerazioni diverse. Partendo da un roster diverso. Poi un obiettivo resta un obiettivo, indipendentemente dal valore. Che può essere salvezza, playoff o promozione. Le difficoltà le abbiamo tutti. Anzi, forse il dover salvarsi mette ancora più pressione. Qui è cambiato il contesto attorno, per il grande entusiasmo che c’è in città ed al palasport”.
L’obiettivo è uno. Detto e dichiarato senza mezzi termini. Poi, per scaramanzia, c’è chi preferisce non nominarlo. In campo la scaramanzia non conta. Conta di più l’idea condivisa, per far rendere un investimento di altissimo livello, con un budget con pochi eguali.
“Tutti quelli che sono stati chiamati a far parte di questa Società e di questa squadra sanno benissimo la richiesta che ci è stata fatta. E’ il campionato di A2 più difficile di sempre, un’ambizione così diffusa tra tante squadre non c’è mai stata. La stagione sarà una lunga fase di preparazione per saper tramutare un desiderio nella vittoria”.
Il paradosso: 10 vittorie ed 1 sola sconfitta. Ma pesante, di 17, in casa e contro la diretta rivale per il primato nel Girone Verde, Cantù. Quanto girerà attorno alla gara di ritorno del 23 dicembre?
“Non credo più di tanto. Prima avremo 4-5 partite contro squadre forti. Ogni tanto ci capita qualche blackout e non conta contro chi. Andiamo sotto. Se poi accade con Cantù, lo sconti”.
Riavvolgendo quel nastro, cosa è accaduto?
“Ventotto minuti buoni, mollando completamente negli ultimi sette. Con grandi meriti loro. Noi non siamo stati capaci di reagire, di testa e di squadra. Da quel giorno però siamo migliorati”.
Vi sentite, come racconta la classifica, i migliori di tutti?
“Non ci sentiamo superiori a nessuno. Siamo una buona squadra, abbiamo molto talento. La crescita è vederlo messo a disposizione di tutti. Apprezzo il passo indietro delle nostre tante individualità per farne due avanti di squadra. E sui due lati del campo”.
L’attacco non è un problema, viaggiate ad un OER di 123 punti per possesso. In NBA Indiana ne ha 123.6… Semmai lo poteva essere la condivisione del pallone, tra almeno 6-7 finalizzatori capaci di crearsi un tiro a possesso.
“E’ così. A turno abbiamo un top-scorer diverso. Prima di Cantù eravamo penultimi negli assist. Ora siamo secondi in tutta la A2. Si guarda molto al nostro attacco, ma anche difensivamente abbiamo un’efficienza oltre la media del campionato”.
Ci parli di Chris Horton. Dalle coppe europee alla A2 di Trapani.
“Ha un vissuto diverso dai compagni. Per fisicità, atletismo e velocità nel gioco è chiaramente un giocatore di livello superiore. Ma la sua intelligenza cestistica lo rende un playmaker aggiunto. E’ arrivato in corsa e si è fatto ben volere. Come? Non chiedendo palla ad ogni possesso e difendendo come gli altri. In attacco ci ha dato la profondità che prima non avevamo, dietro sa chiudere come pochi”.
Tortona partecipa alle coppe europee. Ha risultati, ambizione, progetto e solidità economica. Una realtà non dissimile da quella di Trapani. Però perde ugualmente Mike Daum, una delle prime punte. Non c’è lo stesso rischio per Horton?
“Quando un giocatore performa sui suoi livelli il rischio c’è sempre. Ritengo però che la nostra solidità economica, i risultati ed un obiettivo condiviso con lui ci consentiranno di tenere Chris con noi”.
Prima di Horton, l’avvio di stagione l’ha retto JD Notae.
“Storia molto differente. E’ arrivato in Grecia da rookie, in una città folle per il basket come Salonicco, mettendo assieme buone cifre. Ha avuto subito offerte per giocare le coppe, ma lo abbiamo convinto che il nostro poteva essere il posto giusto per un’ulteriore crescita. E’ del ’98, non ha ancora una piena maturità, può essere un prodotto da Eurolega. Stiamo lavorando su quello, ed è uno affamato di palestra. La velocità di piedi è impressionante, si accende facilmente, giocatore di striscia. Difensivamente è forte sulla palla e spesso ha l’attaccante più pericoloso, non è uno che vuole risparmiarsi per liberare l’attacco. Da play può essere ancora più incisivo”.
Imbrò è, statisticamente, alla migliore stagione in A2. C’è anche la presenza di Notae in questo?
“Può farlo ancora meglio, liberandolo nel ruolo di guardia. L’obiettivo di JD è crescere nel gioco a metà campo, la sua qualità è che apprende in tempi rapidi e quello che gli chiedi te lo fa subito dopo sul campo. JD è talento, atletismo e comprensione”.
Avanti così, nell’orologio avreste in case le migliori del Girone Rosso, dalla seconda in giù. Trieste, Forlì, Udine, Verona elencando quelle ambiziose di promozione.
“Mi rifaccio all’esperienza da giocatore. Conta arrivare ai playoff pronto per vincerli. Casa o fuori, conta poco. Giocare a Trapani è un piccolo vantaggio, certo. Ma l’importante è come ci arrivi. Il poter imporre la propria pallacanestro. La giornata storta può capitare, a noi come alle altre. Le differenze saranno minime”.
La sua storia con Trapani è lunga, fin dal 1998 quando ci giocò con l’Italia Under 22 gli Europei. Alla fine quinti, persi i quarti contro la fortissima Turchia di Turkoglu, Okur, Tunceri.
“Trapani fu anche la rivale per la promozione in A quando la conquistai con Brindisi, nel 2008. Ma anche la città di quella che sarebbe diventata mia moglie. Quando la dirigenza di Torino si trasferì a Trapani, nel 2014, fu facile seguirla nel progetto, per iniziare ad allenare le giovanili”.
Chi sono stati i suoi allenatori di riferimento?
“Ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto, alla Don Bosco Livorno. Mi allenava Luca Banchi, con Alessandro Ramagli da assistente. E poi da senior ho aggiunto Alessandro Finelli. Dai 14 anni che avevo, fino ai 25, è stato un processo di crescita continuo. Non sono mai stato un giocatore di talento, ma ho imparato che il lavoro paga”.
Da giocatore ad allenatore, salto più complesso di ciò che si tende ad immaginare.
“Sono d'accordo. Il gioco è dei giocatori. Io allenatore devo avere feeling con la partita. Mi aiuta l’essere stato playmaker per trent’anni. La testa non stacca mai. E le nuove generazioni di giocatori ti mettono alla prova più che quelle del passato”.
Interessante. Ci sviluppi però il concetto.
“Prima c’era l’allenatore che diceva “…si fa così”. Ed il giocatore eseguiva. Il giocatore di oggi ti mette in difficoltà, hanno accesso a tante informazioni che creano il confronto. Non sono più pronti o più forti. Ma fanno più domande. Anche sbagliate. Tu devi essere pronto a rispondere. E non dire balle. Metodo ed approccio sono cambiati. Oggi ci sono più soluzioni per sviluppare un gioco. E l’allenatore deve sapersi adeguare”.
Chi è il presidente Valerio Antonini?
“E’ la persona che ha ribaltato una città. Ha creato un entusiasmo che in dieci anni qui non avevo mai visto. Neanche quando il calcio ha sfiorato la promozione in Serie A. Ha fatto più abbonamenti quest’anno in D di quanti ce ne erano in quella grande stagione in Serie B. Ha investito e tirato a lucido uno stadio ed un palasport. Ha una visione contagiosa. Pretende molto? Certamente: esige che l’abbiano, identica, tutti quelli che lavorano per lui”.
Siede sulla panchina più desiderata o su quella più pericolosa del campionato?
“Tutte e due le cose. Ma vale anche per i giocatori. Tutti vorrebbero giocare a Trapani. E tutti potrebbero allenare a Trapani. Non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto un altro. Ma preferisco che a farlo sia io. E godermelo”.
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Stefano Valenti

Area Comunicazione
Lega Nazionale Pallacanestro

Credito immagini: LNP foto/Ciamillo-Castoria/Massimo Ceretti